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ottobre 25, 2018 Il dettaglio Nessun commento

Qualsiasi particolare in un abito ha un significato preciso. Ci sono dettagli che comunicano tanto, magari anche a un occhio poco attento o distratto. Tutto ha un senso in un vestito: ogni elemento è la tessera di un mosaico che si realizzerà passo dopo passo.  No, non esagero e ve lo dimostrerò. Prendiamo la “manica stropicciata”, altresì detta a Napoli: manica a mappina. Mai sentito parlare? No problem: ecco di cosa si tratta.

Com’è fatta la manica a mappina

Magari il nome vi sembra nuovo o strano, eppure sono sicuro di una cosa: sicuramente l’ avrete visto almeno una volta. Avete fatto mente locale? Bene. Quella è la manica a mappina. In pratica si tratta di una stropicciatura all’altezza del giromanica, cioè il punto di incontro tra la linearità del tessuto e la cucitura circolare del girospalla stesso. Si tratta di unire due forme e due misure abbastanza diverse.  Ed è qui che nasce tutto. Quella finta stropicciatura nasce per una sovrabbondanza di stoffa nella manica. No, non si tratta di un errore. Al contrario: è una tecnica anche sofisticata da realizzare.

come si fa la manica a mappina

La bravura del sarto consiste nel distribuire con armonia e senza forzatura il tessuto in eccesso. L’equilibrio e la precisione sono le chiavi del processo. Se mancano, si corre il rischio di confezionare una giacca con evidenti difetti e grossolanerie nella cucitura come pieghe scostanti e irregolari. Viceversa, se il lavoro è perfetto, si creerà l’effetto arricciatura, (repecchia in dialetto), un morbido drappeggio che assegnerà alla giacca dinamismo, movimento e libertà. E vi assicuro che non si tratta di una scelta puramente stilistica come vi dimostrerò.

Etimologia

Prima, però, un piccolo passo indietro. La parola “mappina” nasce dal dialetto napoletano e può avere due significati: uno letterale e un altro figurato. Bene, se siete napoletani, sicuramente li conoscerete entrambi e pertanto potrete passare anche al paragrafo successivo. Ma se non lo siete, eccovi una piccola spiegazione. La mappina deriva dall’italiano mappile che indica quelle piccole aree di territorio presenti sulla “carta geografica”. Il dialetto napoletano, però, ha trasformato il senso letterale della voce che sotto al Vesuvio sta a indicare uno straccio utilizzato per rimuovere la polvere dai mobili o le briciole dal tavolo.

Ma esiste anche un’altra variante semantica. Molto più diretta e figurata. Dire: “Sei una mappina” non equivale a fare un complimento. Anzi, è un’offesa perché una persona appellata così è considerata di poco conto o poco seria. In realtà, la manica a mappina si rifà al primo significato, anche se non al 100%. Non si riferisce a una manica riciclata da uno straccio, ma alle sue pieghettature generate non dall’incuria per un oggetto di poco valore, bensì create dall’estro artigianale di un maestro della sartoria.


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Un prodotto napoletano

Napoli è la patria d’elezione non solo della parola, ma anche della soluzione stilistica. Ma perché proprio qui? Sicuramente la città ha avuto fin dal Medioevo una solida tradizione sartoriale. La bravura delle maestranze partenopee era riconosciuta in tutta Europa e la metropoli campana divenne un polo manifatturiero di primo ordine. Eppure questo non basta a spiegare l’origine indigena della manica a mappina. E’ necessario ricorrere al dialetto e al modo di parlare di noi napoletani. Attenzione, per capirne il motivo non è necessario conoscere le regole della linguistica partenopea, ma basta farsi un giro nel ventre di Napoli per sentir parlare gli abitanti del centro. Si aprirà una finestra su un mondo antico, una testimonianza lessicale, storica e antropologica del passato, ma anche una forma di comunicazione diretta, viva. Il merito di questa vivacità è anche della gestualità del dialetto locale.

Le mani non sono solo una forma di comunicazione mimica, ma sono un contorno necessario, se non proprio un sostitutivo del linguaggio verbale. “Ma che vvuò?”, “mannaggia”, “si t’acchiapp” sono espressioni traducibili anche con una precisa codifica simbolica dei gesti. Se siete stati a Napoli forse ve ne sarete accorti, se non avete ancora visitato la città, fatelo al più presto, perché immergersi nella napoletanità è un’esperienza straordinaria. Se invece non avete la possibilità di fare un giro all’ombra del Vesuvio, beh vi invito a riflettere su una cosa: cosa sarebbero stati Troisi, Totò e Peppino De Filippo senza la gestualità che accompagnava la loro geniale comicità?

 

La manica a mappina e la libertà

Bene, ho citato questi 3 grandi della commedia( e non solo) napoletana. Adesso provate a immaginarli reclusi in un vestito rigido così stretto da limitare ogni movimento: probabilmente questo look avrebbe imprigionato la creatività, la freschezza e l’esuberanza della loro arte. La manica a mappina, invece, allenta questo rapporto tra il corpo e le cuciture del tessuto e garantisce una grande libertà di movimento. Vale per gli attori, ma anche per i napoletani, in generale, abituati a relazionarsi e confrontarsi in pubblico sempre con una certa teatralità.

Tuttavia, la manica a mappina non è un prodotto solo per napoletani doc. L’elegante panneggio e le delicate rifiniture ne fanno un simbolo di stile per chi sceglie di indossare una giacca sartoriale, rispetto agli anonimi capi industriali pret-a-porter. La distinzione dalla massa è solo il primo motivo per provare questa soluzione stilistica. L’altro rimanda sempre alla praticità. Per esempio, chi svolge un lavoro in cui deve spesso fare “public speaking” in ambito formativo ha la necessità di apparire alla platea meno ingessato e più elastico nei movimenti. Resta un’ultima cosa dirvi: per acquistare una giacca sartoriale con la manica a mappina potete rivolgermi alla mia sartoria, un piccolo angolo dedicata alla tradizione partenopea. Per prenotare un appuntamento, basta cliccare qui. A questo punto non resta che salutarvi e invitarvi a seguire la prossima puntata del mio blog. Ciao!

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Scritto da: Luca Verdicchio
Sono Luca Verdicchio, sarto napoletano. Confeziono abiti su misura, ma mi piace anche raccontare segreti, curiosità e aneddoti legati al mio lavoro e al mondo delle antiche sartorie napoletane in cui mi sono formato da adolescente.